Monte Rossa (BS)

“Mio padre è stato il primo presidente del Consorzio per la tutela del Franciacorta, un consorzio che ha cambiato la fisionomia di questi luoghi e li ha preservati da altri insediamenti.

E, oggi, lo dico con orgoglio, Franciacorta è quello che vedete adesso: un’isola verde nonostante la circondi un territorio molto industrializzato”. 

Emanuele Rabotti, patron di Monte Rossa, parla con passione. La stessa che ogni giorno mette per far nascere i suoi vini.

Ci accoglie nella sua storica cantina arricchita da migliaia di bottiglie e dalle tradizionali bariqque, dove la paziente attesa trasformerà il prezioso contenuto in eccellenza assoluta. 

Qui il tempo racconta di un sapere perfezionatosi da mezzo secolo, ma testimoniato in Franciacorta già a partire dal 1570: da quando cioè il medico bresciano Giovanni Conforto nel suo Libellus de vino mordaci utilizzò il termine “mordace” per definire quei vini spumeggianti e piacevolmente “aggressivi”. 

Rabotti ha saputo tradurre in un’esclusiva esperienza autoctona le eccellenze del perlage internazionale, come quelle della Champagne. Ecco allora la scelta di “puntare su una cantina moderna e specializzata con la volontà di “concentrarsi solo sulla produzione di 500.000 bottiglie di Franciacorta”. Ecco perché coltivare “in vigneti di proprietà” uve con maniacale precisione o affidarsi “a quelli lavorati da vigneron convenzionati con noi, che operano seguendo il nostro calendario, i nostri trattamenti e il nostro  modo di potare”.

E tuttavia, anche se la Champagne è giustamente famosa per l’altissima qualità di vini curati in 300 anni di storia, Monte Rossa ha un’identità che la rende unica. Perché “in comune con i prodotti della Champagne abbiamo solo il metodo” precisa Rabotti.“ Da quelle parti è predominante l'uva a bacca rossa, il pinot nero o pinot meunier”. Si spiega allora una delle differenze con i francesi: nello Champagne lo chardonnay vale solo il 28%. “Nel Franciacorta, invece, è al 95% e permette la produzione di un grande blanc de blancs, che esprime il proprio terroir.”

È insomma l’uva, la buona uva che fa la differenza, che dà la qualità al vino. “Io, è vero, ho cercato di realizzare una cantina di vinificazione con tutti gli accorgimenti tecnologici del caso e alcuni sfizi, come l’enolift, il saliscendi del vino. Eppure credetemi: ci si può inventare di tutto, ma se l’uva non è buona si fa un vino scadente. Vede, il vino è un mosiaco. Più tasselli si riesce a mettere insieme più è possibile ottenere un risultato preciso. È facile sbagliare. E Il metodo migliore per non sbagliare è non accettare mai compromessi. Una scelta costosa che, però, se mantenuta, fa la differenza.”  

 

È un fiume in piena Emanuele Rabotti. E quasi si dispiace per non averci fatto ancora gustare alcune perle della sua produzione, ignorando che noi, affascinati da quella narrazione, vorremmo che lui continuasse a raccontarci la sua vita, il suo impegno, il suo orgoglio. Come ogni buon affabulatore, Rabotti mantiene desta la nostra attenzione con un paragone tutt’altro che azzardato. “Voi siete qui per provare la Porsche. E per me la Porsche è prima di tutto la Carrera. Un classico. E questo è il mio Carrera” prosegue Rabotti riempiendo i nostri calici con la Prima Cuvée Brut. "Prima Cuvée Brut è il nostro biglietto da visita. Può essere bevuto sia come aperitivo sia a tavola e deve essere in grado di soddisfare il consumatore distratto come l’attento professionista. Tutto quello che avete visto qui attorno, vigneti, cantine serve soprattutto per fare bene questo prodotto, che si distingue per piacevolezza ed eleganza”.  

 

Dal Cuvèe al Salvàdek Extra Brut Millesimato, prodotto con uve Chardonnay 95%.   “Un vino davvero mordace per dirla con Giovanni Conforto e che paragonerei alla Porsche Turbo. Quando un vino è molto, molto secco -  cioè  extra brut - può anche essere chiamato Brut Sauvage. Che tradotto in bresciano diventa spiritosamente Brut Salvàdek.”  Infine il Cabochon, un vino “inventato” da Rabotti quando ha preso le redini dell’azienda. Anche questo un millesimato. “Possiamo dire che il Cabochon è il mio Panamera, la creatura più preziosa. Per celebrare i 20 anni di attività di Monte Rossa ho voluto una riserva in casa più importante rispetto alla Prima Cuvèe ”. Cabochon è diventato così per Monte Rossa un nome di successo, quasi un brand a sé stante (“molti infatti parlano di Cabochon senza sapere che è nostro”), vincitore di premi importanti come il Miglior vino dell’anno, Super Tre Stelle Veronelli,Tre Bicchieri oltre al riconoscimento del Gambero Rosso. Come Porsche Panamera, davvero una sciccheria. 

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Test(o) di Roberto Rasia dal Polo e Bruno Pampaloni

Foto di Roberto Rasia dal Polo

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